11°C. Il sole si alterna a nuvoloni scuri e ostili. Non ho molto tempo oggi da dedicare alla mia uscita ma ho necessità di respirare per una ventina di minuti nel polmone verde della mia città: le Cascine. Temporale permettendo, mi avvio in bicicletta alla ricerca di un posto tranquillo in cui leggere qualche pagina dell’autobiografia di Margherita Hack:
una scienziata in bicicletta, che ha sempre amato lo sport
quasi al pari della sua attività di ricerca e di divulgazione scientifica. Margherita, una fiorentina come me. Un nome che nel mio immaginario ha sempre rappresentato tenacia ed emancipazione. Il padre era di origine svizzera, contabile in un’azienda del Valdarno. La madre, invece, era toscana e miniaturista agli Uffizi. Conseguita la laurea in Fisica nel 1945, iniziò la sua attività di ricerca scientifica. Si trasferì a Trieste negli anni Sessanta quando le fu assegnata la cattedra di Astronomia. Divenne al contempo la prima donna italiana a dirigere l’Osservatorio Astronomico. Margherita fu una donna innovatrice ed energica. E la sua vita è sempre stata legata allo sport: pallacanesto, atletica e …bicicletta.
A quei tempi mi era capitato di leggere le imprese sportive di Girardengo e Bottecchia, quando le tappe del Giro d’Italia erano spaventosamente lunghe. Un anno la tappa del Giro si concluse a Firenze. Io ero uscita nella speranza di vedere i corridori da vicino e a un tratto mi ritrovai accanto a Guerra. Ricordo che gli toccai il braccio come fosse stato qualcosa di straordinario, una reliquia miracolosa, e mi parve un omone gigantesco.
I duelli sportivi dei ciclisti erano molto più seguiti di oggi. Il ciclismo occupava di fatti un posto privilegiato nello sport, di molto superiore al calcio. Il passaggio di una tappa, o l’arrivo della stessa in città, suscitava nei ragazzi un grande interesse e tutti accorrevano per vedere i campioni del momento. Era necessario toccarli quei corridori, le cui imprese si erano ascoltate solo alla radio!
Per dare un’idea dei tempi che correvano, mi piace ricordare la semplicità dei giochi prediletti dei bambini: gare di tappini“i tappi delle gazzose” e di palline, su piste fatte di ghiaia. A ciascuno il diritto di un tiro, un colpetto al tappo con l’indice e il pollice, per cercare di fargli fare il percorso più lungo possibile.
Una scienziata in bicicletta, una ragazza dinamica che iniziò a riscoprire la bici per fare commissioni. “Molte volte univo l’utile al dilettevole, perché la mamma mi chiedeva di andare dal vetraio o dal corniciaio per le miniature che faceva agli Uffizi, a portare delle ordinazioni o a ritirare la merce. Spesso mi toccava andare dall’altro capo della città e la bici diventava davvero utile. Quando dovevo entrare in qualche edificio, non abbandonavo mai la mia bicicletta, per paura che me la rubassero, cosa abbastanza probabile. In particolare mi ricordo la fatica che facevo quando dovevo salire ai piani alti di quelle vecchie abitazioni fiorentine, le scale ripide e strette in viuzze costeggiate da antichi palazzi.”
La bicicletta era inoltre il passatempo delle estati finiti gli studi. Oggi andare in vacanza l’estate è diventato quasi un obbligo, e un costo non indifferente per chi ha famiglia. Prima non era scontato passare le estati in villeggiatura.
Intorno a ferragosto arrivò al Bobolino un giovane operaio. Era solo e chiese se poteva aggregarsi al nostro gruppo per passare le due settimane di ferie. Era venuto in bicicletta. Dopo qualche esitazione gli chiesi se mi lasciava fare un giro. Acconsentì subito, senza preoccupazioni. Eppure era anche il suo mezzo di trasporto per andare a lavoro, e allora la bici era un bene prezioso. Il giorno dopo me la prestò ancora, e ogni volta andavo un po’ più lontano.. Così dopo qualche giorno presi coraggio e mi spinsi fino a piazzale Michelangelo e poi arrivata lì, c’era invitante davanti a me tutta la discesa per il viale giù fino al Lungarno.
Non resistetti all’ebbrezza della velocità, pedalai furiosamente in discesa,
fino in fondo, poi cominciai a preoccuparmi: quanto tempo è passato? Chissà cosa penserà. E ora mi dovevo rifare tutta la salita, almeno tre chilometri, e poi di nuovo la breve discesa fino a Bobolino, dove arrivai ansimante e con la lingua di fuori; mi aspettavo di trovarlo imbestialito e invece giocava tranquillamente a carte.”
Margherita visse gli anni della Seconda Guerra Mondiale e delle leggi razziali, che divennero durissime anche a Firenze. Gli Ebrei non erano più considerati cittadini con i diritti e i doveri di tutti, ma sudditi senza diritti, privati del loro lavoro, espulsi dagli impieghi, esclusi dalle scuole. Nel ’39 Margherita, mentre frequentava il Liceo Galileo, vide scomparire da un giorno a un altro alcuni insegnanti e suoi compagni di studio. Anche sotto i bombardamenti di Firenze si studiava, ma pochi giorni prima dell’esame di maturità nel ’40 l’Italia entrò ufficialmente in Guerra e l’esame fu abolito.
“L’Italia si trovava in guerra dall’inizio di giugno, ma già era diventato impossibile trovare copertoni e camere d’aria
e si doveva rimediare mettendo le toppe, dei pezzi di copertone in corrispondenza dei buchi, cosicché il peso aumentava, e viaggiavamo armati di mastice, carta vetrata e toppe, sia per le camere d’aria che per i copertoni. Partimmo alle quattro di mattina, era ancora buio e i nostri già deboli lumi erano coperti da carta azzurrina per rispettare le norme sull’oscuramento, che ci dovevano proteggere da eventuali bombardamenti.. arrivammo a Viareggio un bel po’ dopo l’ora di pranzo. Avevamo impiegato quasi dieci ore a fare 100 chilometri, e altrettante ce ne mettemmo a tornare.”
Anche durante gli anni vissuti a Trieste, la bici fu una compagna di gite cittadine e fuori porta. Dopo aver riorganizzato l’Osservatorio Astronomico, e pianificato una serie di congressi internazionali per la divulgazione della ricerca scientifica, Margherita si riappropriò del tempo libero, felice di pedalare fino alle piccole spiagge triestine.
Una nuova bicicletta, finalmente col cambio
e superleggera, diventò l’amica di nuove avventure, di un tuffo in mare dopo lavoro e di spensierati giri lungo la costiera in fiore. Sempre alla ricerca di un angolo privato, uno scoglio, un prato in cui stendersi e .. pensare alle stelle.
Niente più di una bicicletta regala quella sensazione di libertà, di immedesimarsi con la natura, correre con il vento in faccia tra i profumi dei fiori e dell’erba. Un pensiero che ricorre nel libro dall’inizio alla fine. Molto legata al tema dell’ambiente, Margherita si esprime così nel capitolo che riguarda il villaggio globale e l’inquinamento :
“ Una propaganda per una maggior diffusione della bicicletta come normale mezzo di trasporto, e non solo come svago, potrebbe dare un grande contributo alla soluzione di un problema che mette in pericolo la nostra salute e addirittura la vita sulla terra. Scuole, fabbriche e uffici dovrebbero sempre prevedere spazi per parcheggiare la bicicletta come avviene in quelle nazioni come L’Olanda, o anche in alcuni paesi del Veneto, in cui la bicicletta è il mezzo di trasporto più diffuso. E non basta.
Le piste ciclabili dovrebbero costituire una rete capillare come lo sono oggi le autostrade”
Un racconto intimo e genuino di cui ho estrapolato alcuni episodi che mettono in luce la passione di Margherita per la bicicletta e il suo modo di viverla, che è molto simile al mio. La bici non è competizione ma è un mezzo su cui viaggiare quotidianamente. E’ inoltre curioso scoprire l’evoluzione tecnica della bicicletta che progredisce parallelamente alle nuove fasi della vita, diventando sempre più tecnologica. E Margherita, che ha vissuto in pieno il Novecento, è partecipe di questo cambiamento.
La bici è in questo bel racconto, un mezzo con cui riscoprire l’immediato senso di libertà e quindi, la felicità. Oltre che un buon metodo di allenamento fisico che ci permette di restare in “equilibrio” anche con l’avanzare dell’età. La Hack è una scienziata in bicicletta, ma è anche una grande comunicatrice attenta ai temi civili e ambientali. Una donna con grande personalità, grinta e una mente brillante che ha conosciuto il meritato successo a livello mondiale.
Brani tratti dal libro autobiografico “La mia vita in bicicletta” di Margherita Hack ( 12 Giugno 1922 – 29 Giungo 2013)
2 commenti
Un articolo davvero di classe. Evviva Firenze le sue bici e i suoi personaggi mitici!
grazie!