Oggi è la Giornata della Memoria, una ricorrenza per ricordare le vittime dell’Olocausto. Tanti i giornalisti che hanno bussato nei giorni scorsi alla nostra porta per conoscere quel dettaglio in più su Gino Bartali: messaggero di pace in un’Italia smarrita e massacrata. In questa occasione lo ricorderò narrandovi i mesi più difficili. Nelle vesti di corriere clandestino passò inizialmente inosservato, ma forse non tutti sanno che più tardi
Gino, messaggero di pace, si rifugiò a Nuvole ricercato dalla Milizia.
In questo piccolo paese umbro, mio nonno trascorse quattro turbolenti mesi. Fu richiamato alle armi a fine del ’42. Aveva già fatto il servizio di leva come aviere nel 1935 a Passignano sul Trasimeno. Stesso anno del suo esordio nella categoria professionisti. Stavolta nel 1942, invece che rivestire la divisa dell’aviere, fu assegnato al reparto della Territoriale di Firenze. Compiti “pacifici” che consentivano a Gino di continuare gli allenamenti, benché ci fossero poche gare da disputare. Finché poi anche il Ciclismo dovette arrendersi al precipitare degli eventi. Peccato che, con il ruolo di sentinella alla Fortezza da Basso, il nonno attirasse involontariamente sempre una discreta folla di curiosi e adulatori. Fu perciò trasferito nel 1943 alla Milizia della Strada, i cui incarichi non si limitavano però alla sorveglianza..
“Io non volevo portare nè il fascetto all’occhiello, nè la camicia nera”
Parole sincere di Gino, che mantenne con i fatti che seguirono. Si recò a Brescia al Comando Generale della Milizia per presentare le sue dimissioni. Queste furono accettate senza tanti indugi dal comandante, nonché suo grande ammiratore. Il nonno proseguì per Milano per partecipare ad una riunione su pista. Con il premio del giorno Gino comprò una bicicletta al cugino Armando Sizzi e insieme ripresero la via del ritorno, ovviamente pedalando. Al rientro a Firenze furono sollevate contestazioni sulle sue dimissioni, benché regolarmente firmate.
Già nel 1992 Gino dichiarava ” Seppi poi di essere ricercato perché quelle dimissioni non le volevano più. Erano rimasti davvero in pochi. Quindi ci avevano ripensato. Feci finta di niente e mi misi al lavoro con l’amico Berti per aiutare gli Ebrei a fuggire”. Emilio Berti era un amico intimo del nonno, e proprietario della pasticceria in Via del Corso a Firenze, davanti all’emporio Quarantotto in cui Gino conobbe mia nonna Adriana.
Bartali fece perdere le sue tracce rifugiandosi con la famiglia in un paesino umbro che solo il nome, Nuvole, ricorda qualcosa di evanescente e inafferrabile. A intuito, un bel posto in cui nascondersi. Solo una decina di famiglie a 4 km da Città di Castello. Il trasferimento in questo borgo fu suggerito a Gino proprio dal cugino Armando Sizzi. Mio padre lo ricorda come “un uomo piccoletto, tarchiato con una voce nasale. Difficile a volte da comprendere..” Nuvole era il paese natale della moglie di Sizzi.
I Bartali si nascosero a Nuvole dall’agricoltore Sante Capaccioni,
che li ospitò dall’Agosto al Novembre del 1943. La piccola proprietà di Capaccioni era una casa rurale circondata da orti e frutteti che si affacciava sulla piana del Tevere. Bartali si faceva chiamare Gino Sizzi, cercando di rimanere, il più a lungo possibile, nell’anonimato.
Cominciarono allora i miei viaggi in bicicletta a Roma e ad Assisi. Lo posso raccontare adesso vincendo la mia naturale riservatezza per questi episodi che appartengono alla sfera privata.
Gino iniziò a cavallo di questi mesi, vissuti tra Firenze e Nuvole, le sue corse clandestine. Fu convocato dal Cardinale Elia dalla Costa al Palazzo Arcivescovile di Firenze. Il prelato coordinava insieme al rabbino Nathan Cassuto la rete interreligiosa per il salvataggio degli ebrei nell’area tra Toscana, Umbria e Lazio. Le raccomandazioni del Cardinale furono: ” Gino stai attento. Non ti fermare mai, tira dritto.” I documenti che il nonno avrebbe conservato segretamente nella canna della bicicletta gli venivano forniti dall’amico Emilio Berti, che li riceveva direttamente dal Cardinale. Gino ricorda nel libro ” La Leggenda di Bartali”:
“ Berti, è roba che scotta questa che mi consegni ?” – “Sì” –
” Allora non mi devi dire niente. Non voglio sapere cosa c’è, perchè se mi prendono non voglio giurare il falso”.
Tutte le settimane, durante il 1943 e in parte nel ’44 , il nonno partiva per le sue destinazioni segrete percorrendo anche 350 / 400 km al giorno con documenti e fotografie falsi che venivano consegnati: ad Assisi nell’Abbazia di San Damiano a Padre Ruffino o al Vescovo Giuseppe Nicolini, e a Roma al Professore Paschetta che li avrebbe inoltrati in Vaticano.
Facendo finta di allenarsi passava davanti alle pattuglie tedesche senza fermarsi.
Nei mesi in cui fu rifugiato a Nuvole Gino non interruppe le sue missioni di salvataggio. Forse si fece solo più scrupoloso, cercando di prevenire ogni spiacevole incontro con la Milizia. Ogni volta percorreva un tragitto diverso dal giorno avanti. A volte era costretto anche ad allungare il percorso di parecchio.
Avevo la canna sotto il sellino piena di documenti dell’arcivescovo. Non c’era spazio vuoto nella bici che non fosse pieno di documenti
Un curioso aneddoto ci avvicina alla realtà di quei giorni a Nuvole, di cui poco sappiamo. Gino per i suoi viaggi aveva certamente necessità di una bicicletta. Nella frazione di Lerchi aveva la sua nota attività Gabriele Spapperi. Parlando con il nipote Gabrio Spapperi, ho riscontrato un curioso aneddoto. ” Mio nonno Gabriele, di origine francese, aveva a Lerchi una fabbrica di biciclette chiamata Cicli Gabriele, e anche una squadra corse. Talvolta rivendeva componenti meccaniche. Ricordo che mi parlò di Gino Bartali. In quel periodo si fermava alla sua ciclofficina a rifornirsi per la sua bicicletta.”
Il tutto coincide con un articolo di giornale in cui si racconta che la milizia sparò su Gino nei pressi di un posto di controllo vicino a Città di Castello. Quella volta i tedeschi non avevano riconosciuto il campione. Lo mancarono, ma distrussero mezza bicicletta, in parte costruita da Gabriele Spapperi, l’artigiano di Lerchi. Le carte non uscirono dalla canna e i Tedeschi poi si scusarono dell’incidente.
A Nuvole, per distogliere i sospetti sulla sua vera identità, Gino iniziò a dire bugie sul suo conto. Se alcuni abitanti ci cascarono, il parroco Don Mariotti, tifoso sfegatato di Bartali, no. Per altro Gino assisteva, come suo solito, a tutte le funzioni religiose. Un giorno Don Mariotti andò da Sante Capaccioni dicendogli:
Potrai far fesso tutto il paese, ma a me non la dai a bere. Quello è Bartali!
Troppo caratteristico il suo profilo, oltre che quelle gambe così muscolose. Il parroco, poco astuto e troppo curioso, finì per smascherare Gino proprio davanti ad un gruppo di paesani. Il nonno fu costretto a fuggire. Prima verso Roma, poi a causa di una strada interrotta, si rifugiò a Siena da Don Bruno Franci. In questi luoghi Bartali attendeva ansiosamente il cugino Sizzi intento a rifornirgli viveri e denari. Sizzi ebbe un incidente in bicicletta, e Gino non vendendolo arrivare uscì per strada sfortunatamente scontrandosi con la milizia. Fu arrestato e portato nella caserma di Via della Scala a Firenze. “Fui interrogato e mandato in prigione. Dopo una settimana di cella, durante il periodo di uscita, il capitano mi guardò e mi disse : – Ma lo sai che assomigli a Bartali. Chi ti ha messo qui ? – “
Di nuovo in libertà Gino “messaggero di pace”, continuò la sua missione di salvataggio anche dopo l’11 agosto del 1944, giorno in cui Firenze fu liberata dalla guerra. Nel Settembre di quello stesso anno liberò 49 soldati inglesi rifugiati a Villa La Selva nelle colline di Bagno a Ripoli. Di recente è stato scoperto che ospitò segretamente una famiglia di ebrei, i Goldenberg, nella cantina della sua abitazione per quasi un anno.
Gino ritornò a Città di Castello solo dieci anni più tardi, quando nel 1954 gareggiò l’ultima corsa della sua lunga carriera. Una bellissima foto di quella corsa ( in alto) ci svela tutto l’entusiasmo, l’affetto e la curiosità dei paesani verso Gino, i quali solo a guerra finita, seppero di averlo ospitato nelle loro case. Bartali, che s’era tenuto in allenamento, tornò a vincere: nel 1946 il Giro d’Italia e due anni più tardi stravinse il Tour de France. Oggi che è il Giorno della Memoria, ricordiamo le vittime dell’Olocausto, insieme a coloro che si adoperarono in favore del bene e in silenzio. Mossi dalla fede e da un senso intimo di giustizia. Come il nonno, Medaglia d’Oro al Valor Civile e Giusto tra le Nazioni. Gino messaggero di pace, che non cercava né elogi, né medaglie
Io ho fatto solo quello che sapevo fare meglio: correre in bici
Da non perdere il reportage Rai dedicato a Gino, il campione e l’eroe.
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